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da www.k.splinder.com/post/4058606

18 agosto 2006

Sei siciliano?

Io sì, lo sono.

E ho sempre creduto impossibile per qualcuno che non appartiene ad una terra l’esperienza profonda di quella terra.
Soprattutto perché lo vedevo succedere a proposito della mia: conosciuta, studiata da chi ne sa la storia, ne legge ed interpreta i fatti, ne comprende le ragioni.
E poi naturalmente la racconta.

Ma quello che mi succede leggendone è che soltanto quando ne parla un siciliano, anche se lo fa pesantemente – perché quando si parla di quello che è male nella mia terra è questo che domina, la pesantezza – forse perché sai che tutto quello che senti è vero.
Nonostante tutto questo quando è un siciliano a parlarne riesco a percepire una specie di tristezza, e di affetto, per la terra scorticata e sola che vivo.
E ho ancora una volta la prova: che solo viverla, una terra, significa veramente conoscerla, sentirla vivere dentro, comprenderla in un modo che è vietato a chi non ci vive in mezzo per un tempo abbastanza lungo.
Eppure una volta mi è successo di vederla da fuori, la mia terra.
Così ho pensato che magari anche qualcuno che non è siciliano avrebbe potuto, guardando quello che guardavo io, esperirla.

Vuoi?

Ma devo chiederti: dimentica tutto quello che sai sulla Sicilia.
Completamente.

Lascia che sia lei ad attraversarti.

Togli tra lei e te tutto quello che ne hai visto, o ti hanno detto, o si racconta, libera la mente dall’idea che questo posto esiste, perfino.
E poi, una mattina di luglio, prendi una macchina senza l’aria condizionata e fai la Catania-Palermo.
Perché la magia funzioni ti devo chiedere ancora una cosa: ricordati la lentezza.

So che è un po’ complicato su una strada a scorrimento veloce, devi fare uno sforzo, ma ti prego:
prova a pensare lentamente.

Si parte: Catania.
Viva di vita nuova, e finalmente amata da dentro, dai suoi.
Finalmente protetta.
Catania poco greca, costiera, vivace, nera di fumo e di lava, scolpita nella pietra nera, ma nonostante questo troppo piena di sole per essere cupa.
Allontanandoti vedi come iniziano a scomparire gli oleandri dalla strada, e il pensiero rinfrescante del mare alle spalle, e inizia a meravigliarti il caldo. Che, pure, ti aspettavi.
Tiri giù il finestrino, e ti bevi l’aria bollente.
Guardi fuori.
La campagna è ancora mite: c’è qui e là qualche collina verde, e campi coltivati, l’orizzonte è lontano e molle, e tu ti cominci a rilassare insieme al tuo cristallino che si distende accomodandosi all’infinito, e ti riposi con lui.

Poi – e questa è una cosa di cui un siciliano si accorge all’improvviso – un giorno che sta percorrendo qualcuna delle strade che stanno fuori della Sicilia:
sui cartelli ci sono solo i nomi delle città dell’isola.
Altrove, capita, tu sei in Campania e vedi una freccia con su scritto “Roma”.
Qui, no.
E’ una strana sensazione: che quasi ti conforta, quando sei a casa: pensi orizzonti finiti.

La mente di un isolano è circondata dal mare.

Naturalmente oggi meno di ieri, il rimpicciolirsi del mondo ha compreso anche le rotte che connettono le isole ai continenti; ma nella testa di uno che abita in un’isola che sia abbastanza grande da poterci vivere, la voglia d’andare si fa strada in modo più difficile, più lento, si deve districare da millenni di pensieri abbarbicati agli scogli (come diceva qualcuno che della Sicilia ha parlato molto prima e molto meglio di me) e paura di quello che c’è dopo.
Chissà perché, è così diverso dalla costa del continente: quando guardi l’Oceano, per esempio, l’impulso immediato è andare a vedere cosa c’è oltre. Forse è che in quel caso alle spalle hai milioni di chilometri di terra che ti fa sentire sicuro abbastanza da tentare il salto, hai fiducia che ci sarà altra terra ad attenderti.
Ma se stai su un’isola, e dietro hai una striscia di terra e poi chilometri e chilometri di mare, il mare che spezza e inghiotte, il mare che è uno strazio vivere accanto alla paura che sai che potrai averne, che sono carezze, la notte, il suo rumore, ma quando davvero si arrabbia può essere puro terrore, e una madonnina su una colonna, minuscola, in avanscoperta sulla battigia a proteggere dal mare che é così tanto rispetto alla terra che hai sotto i piedi. Se vivi circondato dal mare va a finire che nella terra non ci credi più, che non te la aspetti, che hai più chiaro in mente che tanto prima o poi finisce e dietro c’è, ancora, il mare.

E credo che sia per tutto questo che quando viene la voglia d’andare diventa feroce, inarrestabile, incoercibile, ossessione.

Proseguiamo.
Ti accorgi che intorno, piano, cambia?
Cosa vedi?

Un giorno una persona mi disse: che bella campagna gialla che avete in Sicilia.
Vedi migliaia di sfumature di un unico colore: giallo a perdita d’occhio, dovunque, se solo abbassi gli occhi dal cielo vedi campi gialli con disperse in mezzo casupole gialle diroccate e abbandonate, strade gialle strisciate sui campi gialli di fieno mietuto, le stoppie gialle rimaste. Giallo chiaro come bianco, giallo sbiadito, sfinito, bruciato, accecante.
Tranne le chiazze di rarissimi accenni d’ombra striminzita, o il volo bianco e nero di una gazza ladra, tutto è inesauribile giallo.
Un unico colore, che è il colore del deserto: caldo non solo fuori, sentito sulla pelle, non solo nei polmoni, respirato.
Anche nel cervello, attraversando gli occhi bruciati dal riflesso del sole che brucia.
E’ tutto, uguale.
Nel proseguire del tempo e dello spazio: uguale.
Devi essere un artista per renderti conto di come può essere variegato un paesaggio così uniforme: lo devi osservare con violenza, perfino.
Se tu stai lì e ti limiti a guardarlo e a sentirlo, semplicemente, ti sconcerta.

E ti rendi conto improvvisamente, la capisci, forse finanche la vedi, indissolubile e radicata:
l’inerzia dei siciliani.

L’inerzia mentale di chi non crede che qualcosa possa cambiare, quella fisica di chi non si muove.
Perché non ti viene, di muoverti, sotto tutto quel caldo dentro e fuori.
Ogni tanto penso che sarebbe bello camminarci, in quei posti, che e sarebbe la stessa emozione del deserto, che sepolto sotto quel silenzio immobile ed immutabile ti potresti sentire veramente, e finalmente, e profondamente solo.
Ma poi mi figuro dieci passi in mezzo a tutto questo: alla semplice idea cominci a sudare e ti viene un tale mal di testa che dici ma siamo impazziti?
Non sono posti fatti per camminare.
Ma pensaci: tu lo puoi dire adesso.
Adesso che per capriccio ti ho obbligato a non avere il climatizzatore in macchina.
Adesso che c’è questo serpentone grigio e piatto a bestemmiare, quasi, questa terra immobile con l’idea di una velocità che a questi posti non appartiene, che solo ora può essere accettata per l’omologazione di un mondo a cui si assiste.
Perché dovunque può succedere qualunque cosa ma, finché quello che succedeva qui era soltanto ciò a cui qui era consentito – era possibile succedere – niente aveva il diritto di essere veloce.
Qui la velocità ti poteva ammazzare, se mai avessi avuto il coraggio di tentarla.
Qui il giorno è lunghissimo, ed è tutto così, fino a poco prima del tramonto, ci possono essere ombre più lunghe, ma qui il sole brucia fino alla fine, e l’unica difesa che hai è stare fermo.
Vacci a lottare, con tutto questo, per quanto sia violenta la tua guerra e potenti le tue armi, non vincerai, ci vuole tempo, ci vuole che l’evoluzione faccia il suo corso, ci vuole l’adattamento, e i tempi dell’adattamento sono le generazioni.
Nel mondo “moderno” tutto si srotola lungo anni, serpeggia tra i giorni, sguscia tra le ore.
Ma questi non possono ancora essere i tempi della Sicilia, con tutta la sua stor
ia di immobilità, troppa e troppo ferma per dimenticarsene in una notte, foss’anche una notte del terzo millennio.
Si sveglierà: ma piano.
E sbadiglierà parecchio.

Se fosse notte, tutto sarebbe diverso.
Che niente sembra se stesso, di notte, e la sagoma di queste colline, senza addosso il sole che le brucia, non è più riconoscibile, potrebbero essere morbide, lussureggianti di verde, puoi perfino immaginare che ci scorra in mezzo l’acqua, idea bislacca, non ti sfiora neanche la mente l’idea dell’acqua finché tutto non è dissimulato nel buio.
Ti dimentichi della sua assenza, è quasi insensato, ti dovrebbe stupire o addirittura addolorare, e invece guardi tutto bruciare senza neanche chiederti cosa sarebbe se qui ci fosse l’acqua.
E poi, arriva Palermo.
Ritorna la vita, i colori, i profili irregolari e verdi dell’orizzonte, il mare, riconosciuto come Casa.
Tutto riprende l’equilibrio ricordato, il viaggio è finito, puoi risvegliarti.

Se mi hai davvero ascoltata, e hai usato gli occhi le orecchie la pelle e il pensiero adesso puoi.
Ricorda la Sicilia.
Se mi hai veramente sentita parlare, questo viaggio ti rimarrà addosso, e queste immagini nella memoria, molto più di quanto tu stesso adesso creda.
E quando ti tornerà in mente questa terra lontana dal mondo, te ne ricorderai come di qualcosa che hai conosciuto.
Almeno un poco, sicuramente meglio che con una cartolina con i saluti da Taormina.
Se invece è stato solo una interminabile faticosa inutile tortura, perdonami, e dimenticalo.

E – soprattutto – continua a dimenticarti la Sicilia.

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Io sono siciliano e queste parole mi hanno dato i brividi. Grazie all’autrice.

10 commenti
  1. mi sono emozionata anch’io …

  2. adoro la sicilia..
    il testo mi ha fatto ricordare i miei viaggi..
    bacio,tesoro

  3. scrivi bene… grazie per il tuo commento da me… ci hai azzeccato in pieno! un bacio quasi vacanziero da giselleb. ciao!

  4. Grazie per il commento da me, tornerò a leggerti 🙂

  5. Ah, riporto anche qui il mio post-scriptum: se vuoi conoscere l’autrice (che forse sarebbe meglio avvisare), il suo blog è http://k.splinder.com/
    il brano è anche linkato in basso a sinistra nella pagina (“Attraverso la Sikulia”).

  6. Non abbiamo avuto ancora la fortuna di vedere codesta terra meravigliosa, che racchiude il meglio e il peggio.
    Sembra quasi che l’intensità voluttuosa della vita nella Trinacria, della Natura, dello spirito dei siculiani, non permetta mezze misure.

  7. ho ascoltato e mi è piaciuto, forse perchè la conosco e l’amo. è uno dei posti dove sono stata in cui mi piace sempre ritornare.ciao

  8. Il post lo avevo già letto nel blog dell’autrice, ha emozionato anche me.

    Francesco

  9. vale anche per noialtri del sud che da anni viviamo lontani da casa… vale per la mia città costantemente stuprata e sfruttata… ahimé quanto hai ragione.

  10. Ho percorso diverse volte quelle strade assolate, ho ancora negli occhi il giallo delle colline e il marrone cioccolato dei campi arati. Il profumo che solo lì si sente, di caldo e sole. Tre volte sono stata in Sicilia, sono passati 10 anni, ma non la scordo. E spero di tornarci, per sentire quei profumi, per leggere quei colori, per ascoltare i siciliani.
    Bel blog, complimenti, divertente ed emozionante.
    dany

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